L’incrocio tra due linee inbred dà origine a piante ibride (piante F1), che portano cioè il corredo genetico di entrambi i parentali. Le piante originate da semi F1 sono generalmente più vigorose e resistenti delle linee da cui sono state ottenute, e loro produttività è spesso sensibilmente più elevata. Riportato per la prima volta da G.H. Shull nel 1908, il fenomeno dell’eterosi fu immediatamente sfruttato nel miglioramento genetico del mais. Già negli anni ’30 del secolo scorso la maggior parte del mais coltivato era costituito da ibridi; questi poi, dopo la fine della seconda guerra mondiale si diffusero in tutta Europa, sostituendo nella coltivazione le varietà tradizionali coltivate fino ad allora. Il notevole vantaggio produttivo degli ibridi si esprime però solo nella prima generazione, per cui il seme ibrido deve essere acquistato ogni anno dalle ditte sementiere che lo producono.
Uno spettacolare salto di qualità nel miglioramento genetico del mais fu realizzato con l'introduzione del concetto di ibrido. L'era dei mais ibridi è cominciata nel 1909 con la contemporanea e indipendente pubblicazione delle ricerche svolte dai genetisti americani G.H. Shull e E.M East.
Poiché il mais è una pianta allogama a impollinazione anemofila, le popolazioni naturali di mais contengono una certa quantità di variabilità genetica. Allo scopo di stabilizzare in un genotipo alcuni parametri morfologici o fisiologici favorevoli (ad esempio le caratteristiche della cariosside oppure la resistenza a un patogeno), risulta perciò necessario riprodurre le singole piante mediante autofecondazione, portando cioè il polline dal pennacchio sulle sete della stessa pianta (Figura 1).
figura 1 - Autofecondazione di una pianta di mais
George Harrison Shull (1874–1954) (Figura 2), ricercatore presso i laboratori di Cold Spring Harbor, riportò in un articolo pubblicato nel 1908 gli effetti sfavorevoli dovuti all’inbreeding, ma suggerì anche che l’incrocio tra due linee inbred (P1 x P2, Figura 3) permetteva di recuperare immediatamente e completamente il vigore delle piante.
figura 2 - G.H. Shull
figura 3 - Schema dell'incrocio tra due linee inbred di mais (P1 x P2)
figura 4 - Piante ibride in campo
figura 5 - Ibrido di mais
Contemporaneamente anche Edward Murray East (1879-1938), che lavorava presso il Connecticut State College, descrisse l’effetto deleterio dell’inbreeding, ma non riconobbe il potenziale di realizzare un incrocio tra linee inbred, perché a suo parere la selezione di materiali poco produttivi non aveva valore. In seguito, dopo aver letto i risultati delle ricerche di Shull, gli scrisse per comunicargli che era completamente d’accordo con lui. A suo parere, però, l’idea non era particolarmente vantaggiosa, perché l’aumentata produttività delle piante ibride non compensava il costo di produzione del seme.
La transizione dalle varietà a impollinazione libera (open pollinated) agli ibridi fu incredibilmente rapida. Nell’Iowa la percentuale di mais ibrido coltivato crebbe da meno del 10% nel 1935 a oltre il 90% nei quattro anni successivi. Negli altri stati della cosiddetta Corn Belt (Kansas, Illinois, Indiana, Minnesota, Missouri, Nebraska, Ohio, South Dakota) la diffusione fu ugualmente rapida. Negli anni 1950, la maggior parte del mais coltivato negli Stati Uniti era ibrido.
Al termine della seconda guerra mondiale, gli ibridi di mais arrivarono in Europa. La loro notevole produttività, la maggior resistenza agli stress, in particolare ai patogeni, i vantaggi legati all’uniformità delle piante, sono tutti fattori che contribuirono alla diffusione degli ibridi nei paesi europei. Le popolazioni tradizionali di mais, meno produttive e più suscettibili, vennero sostituite da ibridi commerciali, che ancora oggi rappresentano la fetta più larga del mais in coltivazione.
L’aumento della produzione mondiale di mais negli ultimi 100 anni, ottenuta proprio grazie all’impiego degli ibridi, è impressionante.
La produttività superiore degli ibridi si esprime però solamente nella generazione immediatamente successiva all’incrocio (F1), nella quale tutte le piante sono geneticamente omogenee. Se una parte del seme raccolto dalle piante F1 viene riseminato l’anno successivo e nelle stagioni seguenti, si osserva la perdita dell’uniformità genetica della popolazione e il manifestarsi dei caratteri presenti nelle due linee parentali. Questo fenomeno, già descritto a suo tempo da Mendel, prende il nome di segregazione genetica. Il vigore e la potenzialità produttiva delle piante si riducono progressivamente.
Per questo motivo, per avere a ogni raccolto i vantaggi dell’eterosi, è necessario usare a ogni semina del seme F1. Questo significa che gli agricoltori che coltivano mais devono ogni anno acquistare del seme ibrido dalle ditte sementiere che lo producono. Poiché la maggior parte di queste ditte sono multinazionali e che gli ibridi prodotti sono spesso brevettati, ne consegue un monopolio della semente che suscita molte perplessità e parecchie proteste da parte degli utilizzatori.
Un altro aspetto svantaggioso dovuto all’uso degli ibridi nella coltivazione deriva dalla loro uniformità genetica, che espone maggiormente la popolazione coltivata ai rischi legati agli stress ambientali, biotici e non. Un esempio per tutti è l’epidemia del fungo southern corn blight, che colpì gli Stati Uniti nel 1970.
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Autofecondazione di una pianta di mais
Schema di autofecondazione di una pianta di mais
G.H. Shull
G.H. Shull
Schema dell'incrocio tra due linee inbred di mais (P1 x P2)
Schema dell'incrocio tra due linee inbred di mais (P1 x P2)
Piante ibride in campo
Le linee di mais B73 (a sinistra) e Mo17 (a destra) e l'ibrido ottenuto dal loro incrocio
Ibrido di mais
Spighe di ibrido di mais (al centro) a confronto con le spighe dei parentali
L’impiego degli ibridi per la coltivazione del mais ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel mondo agricolo. Se i vantaggi sono stati evidenti e significativi, consentendo di aumentare la produzione e in conseguenza anche le scorte mondiali, altri aspetti sono considerati invece poco o per nulla favorevoli: la dipendenza degli agricoltori dalle ditte sementiere che producono seme ibrido e l’uniformità genetica delle piante coltivate. Il mais è inoltre una delle specie in cui sono state applicate maggiormente le tecniche di ingegneria genetica per la produzione di piante OGM.
Questi aspetti risultano particolarmente sentiti soprattutto negli ultimi anni, in cui si è sviluppata e diffusa una maggior sensibilità alla conservazione dell’ambiente naturale e della biodiversità, e la richiesta di un’agricoltura che sia sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico e sociale.
Crow J.F. 1998. 90 Years Ago: The Beginning of Hybrid Maize. Perspectives. Anecdotal, Historical and Critical Commentaries on Genetics. Crow J.F., Dove W.F. Eds., pp. 923-928.
Lorenzoni C., Marocco A. 2007. Genetica e miglioramento. In: Il mais. Coltura & Cultura, a cura di R. Angelini, Bayer Crop Science.