I conflitti per la terra sono un fenomeno variegato che caratterizza con elevata frequenza l’accesso alla risorsa. Tali tensioni sociali, anche violente, tendono a sostenere processi di rivendicazione politica e sociale, anche in virtù del ruolo identitario che la risorsa incorrpora, alimentando spesso circoli viziosi di conflittualità che possono assumere connotati di natura etnica e religiosa. È quindi importante considerare la prevenzione e la risoluzione di tali tensioni, qualora pratiche o normative inique e/o discriminatorie esistano, come un elemento prioritario di qualsiasi strategia, anche di assistenza internazionale, finalizzata alla prevenzione di conflitti di più ampia portata. Risolvere le tensioni sulla terra infatti contribuisce direttamente a ridurre i costi sociali, economici e ambientali di un potenziale conflitto.
La mitigazione delle tensioni sulla terra contribuisce inoltre alla sicurezza alimentare specialmente nelle aree rurali, altrimenti compromessa.
Non esiste una definizione univoca per indicare la fenomelogia dei conflitti sulla risorsa terra, poichè questi possono assumere forme ed intensità molto diverse, tanto da realizzarsi in un’ampia gamma di fenomeni sociali che sfuggono ad un’unica definizione. I conflitti per la terra sono infatti un fenomeno molto diffuso, e possono verificarsi in qualsiasi momento o luogo.
I conflitti sulla risorsa terra possono riguardare aspetti diversi relativi all’accesso alla risorsa, così come l’uso della stessa o lo sfruttamento dei benefici economici e sociali che da essa derivano. Alcuni esempi di conflitti possono essere quelli riguardanti quali attività generatrici di reddito intraprendere; la scelta tra usi competitivi e contrastanti della terra ( ad esempio, il cambio di utilizzo di un appezzamento dovuto a nuove attività commerciali agricole o minerarie); la negazione della corresponsione delle entrate economiche (revenues) derivanti dallo sfruttamento della risorsa; questioni di vendita, affitto o eredità di diritti terrieri, ma anche il tentativo di escludere altri possibili soggetti dall’usufruire dei benefici di utilizzo, così come questioni di compensazioni e risarcimenti in caso di espropriazioni o simili. È chiaro che i conflitti sulla risorsa terra possono essere fomentati (e spesso lo sono) anche dal desiderio di accedere ad altre risorse ad essa collegate, quali ad esempio, acqua, foreste e risorse estrattive.
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L’aspetto comune che abbraccia questa ampia gamma di fenomeni è l’essere un evento, anche di natura armata, in cui sono coinvolti almeno due parti che si contendono i diritti di proprietà e/o di utilizzo della terra. A causa della mancanza di una definizione stringente e della varietà di eventi a cui si fa riferimento quando si parla di conflitti sulla risorsa terra, risulta molto difficile monitorarli e avere quindi delle stime complessive circa l’occorrenza di tali eventi. In termini generali però, le Nazioni Unite stimano stimano una frequenza molto elevata di tali conflitti, spesso a bassa intensità, ma capaci di caratterizzare con instabilità politica e sociale molti contesti nazionali e sub-nazionali (UN-HABITAT, 2012). Poichè tali conflitti riguardano l’accesso e l’uso della terra, ne consegue che le modalità in cui sono riconosciuti e tutelati i diritti di proprietà della risorsa sono fondamentali per capire la natura del fenomeno, poiché la loro stessa strutturazione può essere la fonte principale di disuguaglianze e discriminazioni che possono sostenere atti di rivendicazione sociale anche violenti.
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Va comunque evidenziato che la terra così come le risorse naturali ad essa collegate non sono quasi mai l’unica causa di un conflitto: in particolare, i conflitti sulla risorsa terra tendono a divenire violenti quando sono complementari e sovrapponibili ad altre cause quali processi di esclusione politica, discriminazione sociale e marginalizzazione economica. Considerando poi che la terra oltre ad essere un input economico e fonte di sussistenza, incorpora anche un forte ruolo sociale ed identitario, le pressioni sull’accesso alla risorsa, laddove negato o discriminatorio, possono strutturare rivendicazioni di tipo etnico (e religioso), e facilitare la mobilitazione di interi gruppi sociali. Inoltre, tensioni sociali sull’accesso alla terra possono essere facilmente manipolate per sostenere interessi politici, anche personalistici.
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La Terra: risorsa economica e identità sociale per lo sviluppo umano
Quale è la connessione tra i conflitti per la terra e la sicurezza alimentare? Una prima correlazione è evidente: l’esistenza di conflitti e tensioni sociali diffuse sull’accesso alla risorsa possono limitare anche in modo sostanziale la capacità degli individui di produrre cibo, di accedere ai mercati locali dei prodotti agricoli e del bestiame così come di poter tutelare le proprie proprietà. Tali restrizioni incidono negativamente sulla capacità delle famiglie rurali di soddisfare i propri bisogni di cibo e di produzione di reddito. Nei paesi a basso reddito, tali effetti raggiungono un’intensità ancora maggiore poichè tali paesi sono spesso caratterizzati da elementi comuni quali la presenza di istituzioni deboli, di persistenti inuguaglianze, di un debole riconoscimento dei diritti di accesso alla terra per i più poveri, così come dall’esistenza di opportunità economiche generate da azioni illegali (sistemi capillari di corruzione o traffici illeciti, ad esempio) – che possono esacerbare tensioni preesistenti e coadiuvare dinamiche di conflitto interno.
Ma i conflitti per la terra generano anche conseguenze di più ampio respiro che impattano ugualmente sulla sicurezza alimentare delle popolazioni. Ad esempio, qualora il livello di violenza ed insicurezza fosse tale da generare fenomeni migratori (anche transnazionali, con relative dinamiche geopolitiche), gli sfollati avranno bisogno di ricevere cibo che non sono verosimilmente in grado di produrre e/o acquistare, di nuove terre dove stanziare – almeno in via temporanea – e lasceranno le proprie terre all’occupazione di altri, generando nuove fonti per future recriminazioni. Fenomeni migratori possono essere generati – con analoghe conseguenze – anche da fattori esterni quali l’insorgere di più ampi conflitti violenti o dagli effetti del cambio climatico. Molti casi di conflitti per la terra, infatti, sono stati generati da fenomeni di migrazione “ambientale”. Per esempio in Africa, si stima che almeno 600.000 individui negli ultimi anni abbiano migrato dall’Etiopia centro-settentrionale verso le più fertili regioni del sud-ovest a causa di ricorrenti siccità e carestie, innescando violente tensioni tra popolazioni nomadi e agricoltori stanziali sulla ormai ridotta quantità di terra accessibile.
Un altro esempio di conseguenze di lungo periodo è fornito da situazioni emergenziali in cui, proprio invirtù dell’eccezionalità delle circostanze, metodi e tecnologie non sostenibili di uso della terra possono essere promosse nel breve termine. A lungo andare però tali scelte di azione potrebbero contribuire alla degradazione ambientale dell’area con una riduzione anche della capacità produttiva agricola, generando quindi effetti sulla sicurezza alimentare locale.
Ma anche in ambito urbano si può verificare l’insorgere di conflitti per la terra. Un esempio è dato dalle conseguenze della migrazione rurale-urbana, nonché dalla crescita naturale della popolazione, che pone a rischio la capacità per molti paesi di assorbire formalmente tutti i propri cittadini. Coloro i quali sfuggono a sistemi formali di insediamento urbano, tendono a concentrarsi nelle periferie, occupando terre ed edifici pubblici in cui la possibilità di essere forzatamente sfrattati è minore rispetto all’occupare terreni privati o comuni. Ciò produce tuttavia forti pressioni sull’utilizzo della risorsa alimentando tensioni tra abusivi, occupanti regolari ed istituzionali locali.
I conflitti più violenti per la terra sono, però, quelli che coinvolgono due gruppi - spesso due diversi gruppi etnici in lotta per l’affermazione delle rispettive proprietà.
Come si possono risolvere i conflitti per la terra? Certamente, una definizione trasparente dei diritti di accesso ed uso della risorsa – anche di natura consuetudinaria e collettiva –, così come l’esistenza di strumenti legislativi in grado di tutelare tali diritti e sanzionare eventuali violazioni, sono elementi chiave per ridurre il rischio di tensioni. Qualora si giunga a conflitti, anche violenti, possono essere intraprese tre opzioni alternative di risoluzione: a) processi non consensuali, tipicamente di aggiudicazione e arbitrato che si svolgono presso corti e tribunali giuridicamente riconosciute; b) processi consuetudinari di risoluzione delle controversie che si fondano tipicamente su leggi non scritte e tradizioni; c) processi consensuali di negoziato che sono alternativi sia a procedure legali che a sistemi consuetudinari. Un esempio di quest’ultima categoria è dato dal meccanismo di Alternative Dispute Resolution (ADR) che è ampiamente sostenuto da molte agenzie internazionali per lo sviluppo e si basa su strategie di mediazione e conciliazione che tendono a mantenere limitata l’escalation del conflitto.
Quale che sia la tipologia di risoluzione che viene adottata a seconda del contesto locale, l’esistenza e la qualità delle istituzioni locali così come dei sistemi di governance della risorsa sono l’elemento critico per rendere efficace tali strategie di mitigazione e soluzione. Una governance non adeguata della risorsa terra può esprimersi ad esempio nel riconoscimento ambiguo di diritti, nell’esistenza di leggi volutamente non chiare o con lacune, in politiche e pratiche discriminatorie, nella marginalizzazione della partecipazione pubblica ai processi decisionali, nella ripartizione iniqua di benefici e costi derivanti dall’utilizzo della terra.
Le tensioni sulla terra possono facilmente sovrapporsi ad altre tensioni sociali – quali forme di discriminazione etnica e marginalizzazione sociale di gruppi – e sfociare in instabilità diffusa e violenza, anche di natura armata. Tali tensioni sono collegate in senso lato a molte dimensioni della sicurezza dell’individuo, incluse quella identitaria e di salvaguardia dei propri mezzi di sussistenza. Per tale motivo, e dato il ruolo della terra in termini di sicurezza alimentare, la gestione preventiva delle tensioni e la risoluzione dei conflitti sull’accesso alla terra sono elementi chiave nella lotta alla povertà e alla fame. Per questa ragione, infatti, gli sforzi e le strategie di sviluppo sia nazionali che internazionali in genere si concentrano sulla gestione e mitigazione di tali dispute e conflitti in modo da evitare un possibile sfociare nella violenza.
È inoltre da considerare che in contesti di forte instabilità, le istituzioni possono essere più facilmente minate dal basso nella loro legittimazione e funzionamento. Al contrario, la loro esistenza e forza è imprescindibile per determinare la capacità di un paese di dirimere controversie sulla risorsa terra e prevenire possibili conflitti. Le istituzioni locali infatti sono chiamate in causa sia in termini di prevenzione, che in termini di capacità di canalizzare il dissenso in forme legalizzate di espressione di interessi contrastanti e risolvere le controversie esistenti.
S.Beretta e S. Balestri (2015), Contro la Fame: diritto al cibo, accesso alla terra, ed. EMI.
Food and Agriculture Organization (FAO), Land Tenure and Rural Development, Land Tenure Series No. 3, Rome, 2002
UN-HABITAT, Land Conflict. Toolkit and guidance for preventing and managing land and natural resources conflict, 2012.
Van Aken Mauro et al. (a cura di), 2015, I conflitti per la terra: tra accaparramento, consumo e accesso indisciplinato, ed. Altravista.
Van Aken Mauro et al. (a cura di), 2015, I conflitti per la terra: tra accaparramento, consumo e accesso indisciplinato, ed. Altravista.