Sempre più spesso capita di imbattersi nella parola “resilienza”: una parola potente come è stata definita da B. Severgnini, nel suo ultimo libro "La vita è un viaggio". Quotidiani, riviste specialistiche e giornali ne parlano ormai quasi quotidianamente. Intorno a questo lemma si stanno sviluppando filoni di ricerca, si studiano strumenti di misurazione, di conservazione, e condizioni per generarne di nuova.
Ma cos’è la resilienza? Per molti tecnici la resilienza si associa al Pendolo di Charpy. Nel mondo della scienza dei materiali e nell’ingegneria meccanica è infatti lo strumento usato per misurare la resilienza di un materiale, la capacità cioè di resistere alla rottura a flessione per urto o, spiegato in altre parole, la capacità del materiale di assorbire energia mentre viene deformato elasticamente. A questo concetto prettamente ingegneristico sono stati associati nel tempo significati più trasversali e generali; di resilienza in chiave sociale ed economica abbiamo sentito parlare anche Obama nel suo primo discorso di insediamento alla Casa Bianca nel 2009, di resilienza parlano gli psicologi, che hanno identificato nell’introspezione, nell’indipendenza, nella capacità di relazionarsi con gli altri, nell’iniziativa, nella creatività, nell’altruismo, nell’autostima i pilastri della resilienza personale. Per un sistema sociale la resilienza è la capacità di affrontare il cambiamento senza perdere la propria identità; è il segno dell’intelligenza con cui una comunità affronta le proprie difficoltà, senza precludersi alle trasformazioni ma anche mantenendo salde le proprie radici, la propria storia, il tessuto connettivo che sostiene la vita quotidiana, gli scambi sociali, il sistema simbolico che sostiene l’intera collettività.
Un modo di capire la resilienza é di associarla ai cosiddetti sistemi socio-ecologici, ovvero le interrelazioni che esistono tra l’ambiente e le attività umane. Queste interazioni sono complesse perché sono composte da sistemi ecologici (quali gli oceani, laghi, fiumi, foreste, pascoli e l’atmosfera) e da sistemi umani (quali le strade, sistemi d’irrigazione e comunicazione). I sistemi socio-ecologici quindi riconoscono che non esiste ambiente senza l’uomo e neppure sistemi sociali senza l’ambiente. Chiaramente quando si parla di attività umane s’intende la crescente domanda di risorse (per esempio l’acqua potabile) proveniente dai centri urbani e allo stesso tempo la grande quantità d’inquinamento che questi producono.
I sistemi socio-ecologici sono composti da sottosistemi multipli le cui dinamiche ecologiche sono strutturate da diverse variabili interne similmente a quanto accade in un organismo umano, composto da organi, i suoi tessuti, le cellule e le proteine. In un sistema socio-ecologico complesso è possibile distinguere dei sottosistemi quali le risorse (per esempio la pesca costiera), le unità di risorse ( per esempio le aragoste), gli utenti (i pescatori) e i sistemi di governo di tali risorse (per esempio l’insieme di organizzazioni e regole che governano la pesca in una determinata regione).
“A livello ecologico un esempio di questa situazione occorre quando in una foresta ci sono le condizioni perchè si sviluppi un incendio che si propoga prima verso le fronde di un albero, successivamente ad un’area della foresta fino ad estendersi a tutta essa. Ciascun ciclo in questa cascata di eventi muove verso un sistema più ampio e lento. Un esempio in campo sociale è quello per cui un gruppo di attivisti riesce ad influenzare e cambiare organizzazioni regionali o istituzioni perché quest’ultime sono diventate obsolete o vulnerabili. Un esempio pratico avvenne nel New Brunswick (Canada) quando un piccolo gruppo di attivisti, opponendosi agli insetticidi usati nella foresta, riuscì nel tempo a trasformare le legislazioni e pratiche del sistema regionale di gestione forestale del territorio” (Holling e Gunderson, 2002:76).
Un altro modo per comprendere la resilienza può essere fatto mettendola in relazione ai sistemi urbani. Ed effettivamente è proprio in questo tipo di realtà complesse ed esposte a potenziali crisi sociali, ambientali, economiche, che più occorre mettere a fuoco il valore di questa risorsa, preservarla e, laddove scarsa, adoperarsi per farla crescere.
Per spiegarla meglio prendiamo in prestito da G. Bateson l’immagine di un acrobata sulla corda e paragoniamola a un sistema urbano in evoluzione. “L’acrobata dev’essere libero di passare da una posizione d’instabilità all’altra; vale a dire: certe variabili, come la posizione delle braccia e la loro velocità di movimento, devono avere una grande flessibilità, che l’acrobata sfrutta per mantenere la stabilità di altre caratteristiche più fondamentali e generali. Se le sue braccia sono bloccate o paralizzate, egli cade” . Bene, così come l’acrobata anche le città hanno bisogno di una certa dose di flessibilità distribuita al loro interno per gestire cambiamenti repentini e rispondere in modo positivo a forti pressioni esterne. I sistemi metropolitani che abitiamo sono costantemente esposti a diversi rischi, da quelli ambientali a quelli sociali, fino a condizioni neanche troppo inusuali come gli attacchi terroristici, le pandemie e la carenza alimentare (quest’ultimo, stando ai recenti dati della Coldiretti, sarà un rischio del prossimo futuro per le nostre città, sebbene in altre regioni del mondo rappresenti già oggi una condizione di fatto).
In conclusione i sistemi socio-ecologici e gli ambienti urbani consentono di guardare sia alle dinamiche dei sistemi (i cicli adattativi, e le relazioni multiscalari o panarchie) che alle proprietà dei sistemi (la resilienza, la capacità adattativa e la capacità trasformativa). Tuttavia ci sono alcune inerzie che rallentano la completa comprensione questi sistemi: le scienze ecologiche e sociali per molto tempo si sono sviluppate in direzioni separate, i ricercatori hanno sviluppato modelli semplicistici che guardano ai problemi legati alle risorse in modo sconnesso, e prescrivendo soluzioni universali (la trappola delle panacee). Le previsioni degli esperti sulla crisi delle risorse riguardano vasti sistemi, aperti e di grande valore, mentre gli utenti di queste risorse sono molteplici, non comunicano e spesso falliscono nel tentativo di sviluppare le leggi e regole che governano queste risorse. Ancora peggio queste previsioni ci precipitano nella realizzazione che spesso non ci siano le condizioni per cui leader locali si possano organizzare ed escogitare strategie più efficienti per la gestione delle risorse. Per questo è fondamentale che il principio di diversità non interessi solamente le risorse naturali (in termini di biodiversità) ma anche le risorse istituzionali, spingendo verso processi di co-gestione delle risorse, accogliendo la complessità che li comporta, verso uno sviluppo resiliente.
Sentiremo parlare di resilienza sempre più spesso. In particolare la troveremo associata ai sistemi urbani perché è proprio in questi contesti che si gioca la più grande sfida della resilienza. Si tratta di una parola potente che indica la direzione verso la quale presto e rapidamente le città e le comunità che le popolano dovranno incamminarsi. I rischi da sfidare sono numerosi e complessi, dai cambiamenti climatici a quelli sociali, dalle pandemie alle carenze alimentari.