Il caso del Tigri e dell’Eufrate e dei suoi tre principali paesi rivieraschi (Turchia, Siria, Iraq) offre un’interessante caso di studio come esempio di bacino fluviale transfrontaliero privo di un sistema multilaterale di gestione delle sue risorse idriche, nonostante i vari tentativi negoziali. Ciò significa che i tre stati che si dividono il corso di questi fiumi possono agire unilateralmente senza infrangere nessun tipo di accordo precedentemente adottato. Inoltre, a differenza del caso del Nilo, per quanto concerne il Tigri e l’Eufrate il paese attualmente nelle migliori condizioni politiche ed economiche, la Turchia, è situato a monte del bacino. Ciò rafforza la posizione egemonica di Ankara e complica la situazione geopolitica di Siria e Iraq, in particolare di quest’ultimo. Inoltre va aggiunta la difficile congiuntura politica che vivono questi due paesi. La Siria è avvolta da una guerra civile già da quattro anni. L’Iraq, dopo la destituzione di Saddam Hussein, vive ormai una difficile stagione di transizione da oltre una decade. A complicare il quadro ci sono i difficili rapporti tra Turchia e la componente curda sul suo territorio e in Siria, insieme alla crescente presenza del sedicente Stato islamico.
Il bacino idrico del Tigri-Eufrate comprende principalmente tre paesi che sono l’Iraq (46%), la Siria (11%) e la Turchia (22%). Legate a questo vasto sistema fluviale sono anche l’Iran (19%), l’Arabia Saudita (1,9%) e, marginalmente, la Giordania (0,03%).
figura 1 - Bacino Idrico Tigri e Eufrate
figura 2 - Bacino idrico Tigri e Eufrate
Il fiume entra nel territorio siriano a Karkamış, a valle della città turca di Birecik poi, attraversando gli altopiani siriani, continua il suo percorso in terra irachena nei pressi Qusaybah. Il 28% del Bacino dell'Eufrate risiede in Turchia, il 17% nella Repubblica araba siriana, il 40% in Iraq, il 15% in Arabia Saudita, e solo 0,03% in Giordania. Il tratto saudita dell'Eufrate asciuga in estate; non ci sono fiumi perenni. Il fiume Eufrate è lungo 3.000 km, diviso tra la Turchia (1.230 km), la Repubblica araba siriana (710 km), e l'Iraq (1.060 km), mentre il 62% del bacino idrografico che produce ingressi nel fiume si trova in Turchia e il 38% nella Repubblica araba siriana. Si stima che la Turchia contribuisce con il 89% del flusso annuale e la Repubblica araba siriana 11%. I restanti paesi rivieraschi contribuiscono con pochissima acqua. Per quanto concerne il Tigri, questo fiume è lungo circa 1.850 km, di cui il 12% risiede in Turchia, lo 0,2% in Siria, il 54% in Iraq e infine il 34% in Iran.
L’Eufrate contribuisce ad alimentare questo bacino idrico fornendo circa 32 miliardi di m3 all’anno. Di questi, il 90% proviene dalla Turchia, mentre il restante 10% dalla Siria. Per quanto riguarda il Tigri il valore medio del flusso idrico annuale è di 52 miliardi di m3. La Turchia contribuisce a fornirne il 40%, mentre l’Iraq e l’Iran contribuiscono con il 51% e il 9%.
Infine, Tigri ed Eufrate confluiscono danno orgine allo Shatt Al-Arab, il cui corso sfocia nel Gioco Persico dopo soli 190 km, accogliendo anche le acque del fiume Karun, originario del territorio iraniano.
Il bacino del Tigri e Dell’Eufrate e i suoi sbarramenti
L’origine della questione della regolamentazione dell’uso delle risorse idriche del Bacino del Tigri e dell’Eufrate è legata al collasso dell’Impero ottomano. La divisione di questo impero multi-etnico e multi-religioso comportò di fatto la fine di un controllo di questo sistema idrico da parte di una sola autorità politica sovrana, divenendo parte integrante dei nuovi stati di Turchia, Siria (sotto mandato francese) e Iraq.
Tra i tre paesi rivieraschi, l’Iraq è quello che storicamente vanta il maggior utilizzo di queste risorse idriche, avendo sviluppato una vasta rete di canali di irrigazione sotterranei (kariz) lungo il corso dei secoli. Durante il secolo scorso, ancora sotto l’autorità ottomana, in territorio iracheno sorse la prima opera di sbarramento sull’Eufrate, la diga al-Hindiya nel 1914, seguita nel 1951 da quella di Ramadi-Habbaniya. Lo scopo di queste opere era il controllo delle inondazioni e la razionalizzazione dell’irrigazione. Le opere irachene su questi corsi d’acqua proseguirono durante tutto il XX secolo. Nel 1960 venne promossa la creazione di un lungo canale, chiamato poi Saddam River, completato nel 1992 con cui si congiungevano Tigri ed Eufrate. Alla fine degli anni Settanta, venne realizzato un canale scolmatore che dal Tigri portava l’acqua nel lago Thartar, così da diminuire il rischio di esondazioni. Infine, nel 1991, vennero lanciati diversi progetti per sviluppare i sistemi di irrigazione nella regione di Mosul.
Fino alla metà del XX secolo, la relazione privilegiata dell’Iraq con il Tigri e l’Eufrate non è mai stata messa in discussione, anche grazie al fatto che né la Turchia né, tantomeno, la Siria avevano mai preteso di dar vita a consistenti sistemi di sbarramento e irrigazione. Tale equilibrio si è infranto durante gli anni Sessanta e Settanta, destando in particolare preoccupazione nell’Iraq che vide improvvisamente minacciate le sue riserve idriche. Fu da questo momento che vennero intrapresi diversi tentativi di negoziato, senza però mai giungere ad una vera conclusione positiva.
figura 3 - Sbarramenti sul corso del Tigri e dell'Eufrate
Il primo evento che contribuì ad avviare una nuova fase nelle relazioni tra i tre paesi rivieraschi fu la decisione di Ankara di costruire lo sbarramento di Keban lungo il corso dell’Eufrate (progetto conclusosi nel 1973). Nel 1964, si tenne il primo incontro tra gli esperti turchi e quelli iracheni. Quest’ultimi cercarono rassicurazioni sul quantitativo rilasciato di acqua da parte turca. Ankara propose la costituzione di un organismo tecnico ad hoc (Comitato tecnico congiunto – JTC) a cui sarebbe stato affidato il compito di ispezionare le varie fonti idriche che alimentano il fiume, determinando attentamente la portata annua aspettata in modo tale da proporzionare il rilascio delle acque a valle. Nelle intenzioni turche, il JTC avrebbe dovuto definire gli aspetti tecnici necessari ad assicurare un bilanciato sfruttamento di questa risorsa in modo tale da permettere l’irrigazione nei tre paesi. Nel 1965 si tenne un secondo incontro, questa volta alla presenza anche della delegazione siriana. Fu l’occasione per discutere non solo dello sbarramento di Keban, ma anche di quelli di Tabqa in Siria e di Haditha in Iraq, che da lì a poco sarebbero stati realizzati. La questione della creazione del JTC tornò al centro della discussione, ma le parti non riuscirono ad accordarsi sul profilo e sulle competenze di questo organismo. Il negoziato fallì quando venne proposta la possibilità di deviare il corso del Tigri per sopperire a eventuali carenze nel flusso dell’Eufrate. L'Iraq si oppose apertamente ribadendo la sua intenzione di discutere esclusivamente delle opere relative a quest’ultimo fiume.
Nel corso degli anni Settanta, si tennero diversi incontri per cercare di giungere a un accordo finale. Informazioni rispetto ai tre invasi vennero scambiate pur senza riuscire a stabilire un sistema tripartito per la gestione comune del bacino. Fu così che Turchia e Siria proseguirono unilateralmente nella realizzazione dei rispettivi progetti idraulici.
La Siria incominciò a studiare progetti per lo sfruttamento idroelettrico e irriguo di questo bacino. I primi progetti risalgono agli inizi degli anni Sessanta, ma fu con la costruzione dello sbarramento di Tabqa (1973) che un nuovo polo di tensione venne introdotto nella regione. A questo progetto fece seguito, un decennio dopo, la diga Baath (1986), seconda per grandezza nel territorio siriana. Infine, con lo scopo di fornire energia idroelettrica, nel 1999 venne realizzata lo sbarramento Tishreen.
Dopo la realizzazione della diga Keban, nel corso degli anni Ottanta, Ankara promosse la costruzione dello sbarramento di Karakaya, completato nel 1988. Questa opera fu molto significativa poiché rappresentò l’inizio dello sviluppo di un progetto di più ampia portata, il Southeastern Anatolia Project (GAP), con lo scopo di incrementare considerevolmente la produzione idroelettrica.
figura 4 - GAP
Annunciato nel 1977, il GAP rappresentò un grande progetto di sviluppo idrico che comprendeva 22 sbarramenti e 19 stazioni di produzione idroelettrica da realizzare tra il Tigri e l’Eufrate. Come parte integrante di questo percorso, nel 1992 venne realizzata la diga Ataturk, la più grande, completata nel 1992. Più recentemente, in vista del completamento del GAP, Ankara aveva annunciato la costruzione dell’ultima grande diga, quella di Ilisu sul corso del fiume Tigri. Grazie al suo invaso di 11 miliardi di metri cubi, Ilisu dovrebbe generare quasi il 2% della fornitura di energia elettrica della Turchia. La realizzazione di questa opera, oltre a determinare la scomparsa dell’antica città di Hasankeyf, la cui storia risale a 10.000 anni fa, e di altri 15 importanti centri urbani, pone seri quesiti rispetto al flusso idrico del Tigri in ambito siriano e iracheno.
figura 5 - Ilisu
Nel complesso, lo sviluppo di GAP ha destato le preoccupazioni di Siria e Iraq sin dagli anni Settanta, temendo una drastica riduzione del flusso idrico dei due fiumi con conseguenti sofferenze per le produzioni agricole e idroelettriche nei loro territori. Ciononostante nessun reale accordo è mai stato raggiunto. Lo sviluppo di GAP prevede di proseguire fino al 2017. Una volta terminato, si prevede che sarà in grado di prelevare il 70% di acqua dell’Eufrate. Il rischio di minare ulteriormente la posizione dell’Iraq, che già registra l’aumento della salinità delle acque dello Shatt al-Arab oltre al prosciugamento di molti kariz, esacerbando sicuramente i rapporti tra i due paesi.
Le relazioni politiche al centro delle acque transfrontaliere di Tigri e Eufrate
Iraq, Siria e Turchia hanno ripetutamente cercato di siglare un accordo rispetto alla gestione delle acque del Tigri e dell’Eufrate. Ciononostante, il complesso intreccio tra ambizioni di crescita economica, tensioni politiche dovute a competizione, politica regionale e, infine, all’aumento della pressione demografica nei tre paesi ha fatto sì che non fosse mai possibile andare oltre ad accordi ad interim, stabilendo invece un sistema multilaterale permanente. L’attuale situazione politica, con la guerra civile in Siria e la perdurante crisi politica irachena, non può far altro che procrastinare tale obiettivo.
Limitandoci a ricordare i vari tentativi di accordo della prima metà del XX secolo, dove non si riuscì ad andare oltre dall’enunciazione del principio di buon vicinato, coordinamento e scambio dati, la necessità di intraprendere veri negoziati si fece pressante durante gli anni Settanta. Il riempimento degli invasi di Keban e Tabqa infatti provocò una riduzione del 25% del flusso di acqua entrante in Iraq, determinando immediatamente un’escalation di tensione tra questi paesi. D’altra parte, la costruzione di questi invasi e la scelta di procedere unilateralmente da parte di Ankara e Damasco per dare risposta alla pressione demografica di quegli anni dimostra l’importanza di approntare strumenti di cooperazione e progettazione condivisa, confermando la criticità delle relazioni tra stati a monte e a valle di sistemi idrici transfrontalieri.
A partire da questa data, i tre paesi cercarono ripetutamente di giungere a un accordo effettivo. Tra i vari tentativi, ripetutamente falliti, è interessante ricordare due negoziati che hanno portato alla firma di un accordo. Nuovamente non si tratta di intese tripartite, ma solo bilaterali.
Nel 1987, Turchia e Siria giunsero alla firma di un protocollo di intesa con cui Damasco si assicurò la garanzia di Ankara di mantenere la portata minima dell’Eufrate su un valore di 500 m3 /sec per tutto l’anno. In seguito, nel 1990 fu il turno di Iraq e Siria. L’accordo tra i due paesi stabilì la percentuale di acqua dell’Eufrate da condividere garantendo a Baghdad una quota del 58% e a Damasco del 42%.
Più recentemente, nel 2002 la Siria e l’Iraq firmarono un altro accordo bilaterale, riguardo la costruzione di una stazione di pompaggio per l’irrigazione sul fiume Tigri. Infine nel 2008, i tre paesi avevano definito un piano di cooperazione tecnica, con la formazione di un gruppo di 18 esperti, con lo scopo di analizzare i problemi idrici nel bacino del Tigri e dell’Eufrate cercando di definire un piano di soluzioni condivise e bilanciato. La guerra in Siria e la crisi protratta in Iraq hanno in larga parte bloccato tale percorso.
I ripetuti fallimenti negoziali e la crescente competizione rispetto alla questione dell’acqua si sono frequentemente intrecciate alle tensioni prettamente di politica regionale tra i tre paesi. L’acqua di per sé non è un tema sufficiente nella conflittualità inter-statale, ma può facilmente agire da catalizzatore per altre crisi in corso. Fu così che al completamento della diga di Tabqa, Siria e Iraq erano sull'orlo di una vera e propria guerra (1975). A questo contribuì sicuramente l’avvio di GAP, che coincise con una forte siccità in Iraq. Nel 1990, in corrispondenza del riempimento dell’invaso dello sbarramento Ataturk, la Turchia decise di mobilitare le sue forze militari, dimostrando che la diversione di parte del flusso dell’Eufrate rappresentava molto di più che una semplice soluzione tecnica. L’interruzione momentanea del 75% delle risorse idriche verso Siria e Iraq, spinse quest’ultimo paese ha minacciare di far saltare la diga, causando la reazione immediata di Ankara che rispose intimando di essere disposta a interrompere completamente il flusso in uscita dell’Eufrate di fronte a una tale eventualità. Inoltre, si deve ricordare che le ricorrenti tensioni tra Turchia e Siria riguardo il sostegno siriano ai separatisti curdi (Partito dei Lavoratori curdo, PKK) e il supporto militare della Turchia a Israele hanno spesso aggravato le controversie sull’acqua in questa regione. In particolare, nel 1997 la decisione di Ankara di attaccare i ribelli curdi in Iraq settentrionale hanno rischiato di innescare un’escalation di tensione difficilmente sostenibile. Similmente, l’anno successivo, la Turchia minacciò di essere pronta a un’operazione militare in Siria a meno che Damasco non interrompesse le relazioni con il PKK. In questo caso, la decisione siriana di mettere al bando la formazione militante curda sanò la situazione.
Bacino Idrico Tigri e Eufrate
Bacino idrico Tigri e Eufrate
Bacino idrico Tigri e Eufrate
Bacino idrico Tigri e Eufrate
Sbarramenti sul corso del Tigri e dell'Eufrate
GAP
Southeastern Anatolia Progect (GAP)
Ilisu
Sbraamento di Islisu-Southeastern Anatolia Progect (GAP)
Nonostante al momento Siria e Iraq siano di fronte a problemi politici e militari all’interno dei loro territori che rendono pressoché impossibile contribuire allo sviluppo di sistemi multilaterali di gestione delle acque di questo bacino, è evidente che l’aumento rapido della popolazione in Turchia, Siria e Iraq, a cui va aggiunto un suo forte rimescolamento in seguito al crescente problema dei rifugiati siriani, conferma la necessità di fornire una risposta coordinata alla crescente pressione esercitata su queste risorse idriche. La situazione irachena, in particolare, è quella che pare più critica. Il caso del bacino del Tigri e dell’Eufrate dimostra che nel campo della gestione di acque transfrontaliere quando esiste un paese che è in grado di sommare posizione geostrategica vantaggiosa (stando a monte di un sistema idrico) con potere militare ed economico, il raggiungimento di accordi equi e bilanciati è molto dura. Inoltre, anche la dimensione degli accordi bilaterali è generalmente inefficace, perché tende a confermare la posizione egemonica di un dato paese, sottraendo allo stato più debole molte delle possibili “carte negoziali” a sua disposizione. Ciò ripropone la questione della conflittualità o dell’escalation di tensione a causa dell’acqua, al pari delle scelte unilaterali.
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Tigris, Euphrates have enough water for Turkey, Iraq, Syria, Today Zaman