Con il suo percorso poderoso, il Nilo rappresenta un sistema idrico di vasta portata che bagna 11 paesi nel suo lento percorrere fino a sfociare nel Mediterraneo e che ha caratterizzato la storia millenaria delle diverse civiltà che hanno attinto alla sua acqua, tra cui spiccano gli Egizi. Data la complessità di questo sistema e la forte interconnessione tra le differenti fonti idriche che ne alimentano il bacino, le tensioni tra i diversi paesi rivieraschi, in particolare tra quelli a monte e quelli a valle (come l’Egitto) sono endemiche. La questione dello sfruttamento delle acque del Nilo offre numerosi spunti di riflessione rispetto alla vasta questione delle acque transfrontaliere sia dal punto di vista geopolitico che da quello del diritto internazionale dell’acqua. Il caso nel Nilo non solleva problemi solo rispetto alla dimensione della conflittualità, ma prospetta anche interessanti soluzioni cooperative e multilaterali che potrebbero essere adottate tra i paesi rivieraschi per condividere questa risorsa.
Per capire la complessità del caso del Nilo è sufficiente richiamare brevemente alla mente la dimensione di questo bacino idrico e il numero di paesi, e di conseguenza di comunità, che vi si affacciano beneficiando delle sue acque. Il Nilo è il risultato dell’unione di due corsi d’acqua, il Nilo Bianco e il Nilo azzurro, che unendosi in territorio sudanese ne danno origine. Risalendo dalle sue foci nel Mediterraneo lungo il complesso e intricato sistema idrico che lo alimenta, il bacino del Nilo trova la sua origine in Burundi, alle sorgenti del fiume Kagera. Questo è la fonte che alimenta il lago Victoria, in Uganda, che è tradizionalmente considerato il punto da cui nasce il Nilo. Il Nilo Vittoria, così come è chiamato in questo tratto del suo corso, si dirige verso il lago Alberto (situato tra il Congo e l’Uganda) prendendone il nome, fino a divenire il “fiume di Montagna” (Bahr al-Jabal in arabo) che poi si ricongiunge con il cosiddetto “fiume delle gazzelle” (Bahr al-Ghazal) divenendo il Nilo Bianco. È questo corso che unendosi in Sudan con il Nilo Blu, fiume di lunghezza inferiore, ma di grande portata, che ha origine nel lago Tana sugli altopiani etiopici, da origine al corso finale del Nilo che poi sfocia nel mar Mediterraneo diramandosi in un grande delta.
figura 1 - Bacino del Nilo
Il bacino del Nilo rappresenta un complesso sistema idrico che si distende per 6 695 Km, bagnando 11 differenti paesi, Burundi, Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda, Tanzania, Sud Sudan, Sudan e Uganda.
All’interno di questa vasta area, che comprende una delle più grandi aree paludose del mondo, come il Sudd in Sud Sudan, così come una delle più grandi aree lacustri, il lago Vittoria condiviso da Kenia, Tanzania e Uganda, rappresenta un sistema ecologico di grande importanza e varietà che per la sua dimensione e interconnessione pone immediatamente il problema dell’uso della risorsa idrica tra i diversi paesi e le comunità che vi si affacciano. Tale questione è particolarmente importante dato in crescente aumento della pressione su questo bacino, sia dal punto di vista demografico (7 degli 11 undici stati rivieraschi prevedono un raddoppio della loro popolazione in 20-25 anni) che da quello economico, dovuto anche alla crescita dei paesi a monte, storicamente meno sviluppati rispetto ai più solidi stati a valle, Egitto e Sudan. Inoltre, non è da trascurare il fatto che il Nilo, pur rappresentando un bacino idrico imponente, soffre di problemi di scarsità tanto che il suo volume è solo il 5% rispetto a corsi d’acqua come il fiume Congo. A ciò corrisponde anche il degrado che il bacino sta già sperimentando, sia nella sua parte a monte, a causa del degrado del suolo, nella sua porzione centrale in conseguenza alla pratica eccessivamente intensivo dell’agricoltura e, infine, nel suo delta che registra un aumento costante del tasso di salinità delle sue acque.
Il Nilo e la gestione politica delle sue acque
Nel panorama dei paesi rivieraschi del Nilo, l’Egitto ha sviluppato nel corso della storia una relazione simbiotica con questo corso d’acqua che ha permesso lo sviluppo della sua vita politica, sociale, culturale ed economica. Il Nilo è tutt’ora centrale per la vita del paese, fornendo il 90% dell’acqua consumata e determinando, inoltre, la regione lungo cui si concentra il 95% dei suoi abitanti. A ciò si deve aggiungere che l’Egitto è un paese la cui economia dipende ancora in maniera considerevole dal settore agricolo, attività che può avvenire proprio grazie al Nilo, che rappresenta circa il 24% del suo PIL e che occupa quasi il 42% della sua forza lavoro.
Tale forte dipendenza si deve però confrontare con la posizione geografica egiziana, che ne fa il terminale ultimo del vasto bacino idrico del Nilo soggetto, non solo alle fluttuazioni della portata di questo fiume, ma anche ai comportamenti dei paesi a monte. L’Egitto ha costantemente cercato di sopperire a questa sua posizione svantaggiosa facendo valere il suo peso politico, economico, militare e demografico nei confronti degli altri paesi rivieraschi, assicurandosi fin dagli inizi del secolo scorso che nessun altro stato potesse determinare significativamente la portata del Nilo, mettendo quindi a rischio l’approvvigionamento del suo corso nella porzione a valle. Nel corso degli anni Venti, l’Egitto si preoccupò di porre al riparo la sua posizione spingendo per la firma di un accordo con il Sudan in vista della definizione delle modalità di utilizzo delle acque del Nilo. La ragione di quest’iniziativa è da ritrovarsi nel timore del Cairo che il Sudan sviluppasse unilateralmente sistemi di sbarramento sul corso del Nilo Blu (la diga di Sennar), mettendo a repentaglio il suo approvvigionamento idrico. Si giunse così nel 1929 alla firma del primo accordo tra i due paesi.
figura 2 - Bacino del Nilo, 1929
Nel corso dei primi anni Cinquanta, la questione del Nilo e delle sue acque ritornò a occupare il centro della scena politica egiziana. Il Cairo ritenne necessario realizzare un’imponente opera di sbarramento (1952, primo progetto della diga di Assuan) in modo tale da poter governare e razionalizzare il livello delle acque del Nilo nel suo territorio, sottraendosi alle sue fluttuazioni e piene. In effetti, una diga già esisteva sul sito, la cosiddetta “piccola” o “vecchia” diga di Assuan costruita tra il 1899 e il 1902 e innalzata ulteriormente nel corso degli anni. Ciononostante la sua capacità di gestire le piene e l’inondazioni del Nilo era giudicata insufficiente e per questo Il Cairo giunse alla proposta unilaterale di una nuova grande opera di sbarramento.
I primi contatti diplomatici con il Sudan avvennero nel 1954, proprio durante la lotta per l’indipendenza dal regime coloniale. L’accordo venne però firmato nel 1959, riproponendo nuovamente il semplice schema bilaterale tra i due paesi e imponendo di fatto una spartizione; al Sudan veniva riconosciuto il 25% delle acque nilotiche transitanti sul suo territorio, lasciando il restante 75% all’Egitto. In cambio del consenso per la costruzione di Assuan, il Sudan otteneva la possibilità di intervenire sul corso del fiume erigendo lo sbarramento di Roseires nei limiti degli accordi di spartizione. Infine venne istituito un organo di controllo del trattato, la “Permanent Joint Commission”, con il compito di garantire e regolare la cooperazione tecnica tra i due paesi. A ciò si deve aggiungere la pretesa di Egitto e Sudan di esercitare un diritto di veto su qualsiasi ulteriore opera di sbarramento lungo tutto il bacino del Nilo, qual’ora avesse potuto influire negativamente sul contenuto degli accordi appena siglati. Di fatto, Egitto e Sudan imposero il proprio peso politico agli altri paesi, in particolare Il Cairo.
Nile Basin Initiative ed Entebbe: la battaglia per il Nilo
Nel corso degli anni Novanta, dopo vari tentativi di stabilire meccanismi e protocolli di cooperazione e condivisione dati tra i paesi rivieraschi, si iniziò a discutere stabilmente la possibilità di dar vita a un sistema regionale intergovernativo per la promozione di una partnership stabile e constante tra i paesi bagnati dal Nilo capace di promuovere lo sviluppo economico di questi territori, garantendo la pace e la sicurezza.
figura 3 - Bacino del Nilo, 1960-250
In realtà, NBI ha dovuto affrontare fin da subito numerose difficoltà assistendo a una progressiva e costante polarizzazione tra i paesi a monte e quelli a valle, in particolare l’Egitto. Il punto centrale era il desiderio di molti paesi del bacino nilotico di rimettere in gioco la divisione delle quote di questa risorsa idrica, andando oltre ai “diritti” storici e riconoscendo il profondo cambiamento politico, economico e demografico che stava avvenendo nella regione. Naturalmente davanti a questo l’Egitto si oppose, sentendosi minacciato. La prova più evidente di tale situazione si è avuta nel 2010, quando Etiopia, Ruanda, Uganda, Kenya e Tanzania hanno deciso di firmare un nuovo accordo a Entebbe, a cui si aggiunta l’Uganda nel 2011. Entebbe promuove una nuova spartizione delle risorse idriche nilotiche al fine di rispecchiare i bisogni attuali dei paesi rivieraschi, superando lo schema degli accordi del 1929 quando questi erano ancora soggetti al volere della potenza coloniale britannica. L’Egitto si è naturalmente opposto sottolineando l’impossibilità di condividere questo percorso proprio perché si fonda sulla negazione del suoi diritti storici. A spaventare sono i progetti di sbarramento proposti in Etiopia e Tanzania. Cairo inoltre ribadisce la necessità di dare efficacia e concretezza all’obbligo degli altri paesi rivieraschi di informare Egitto e Sudan circa la realizzazione di nuove opere. Infine, permane il problema di stabilire il sistema di adozione delle decisione all’interno dell’accordo. Il Cairo vuole naturalmente l’unanimità, una vera e propria garanzia contro possibili cartelli tra i paesi a monte, laddove nel 2010 venne invece avanza la proposta del voto di maggioranza. La situazione non ha ancora trovato una via di uscita e le parti rimangono de facto sulle medesime posizioni. In verità ultimamente, l’Egitto di al-Sisi ha dimostrato di voler ritornare al tavolo negoziale per raggiungere una sorta di compromesso che riconosca e garantisca i diritti di questo paese, che dipende per il 90% dal Nilo, pur riuscendo in qualche modo a soddisfare alcuni dei desideri dei paesi a monte. Il rischio è che si consolidi sempre più un atteggiamento che vede l’acqua nilotica come una risorsa strategica da contendere alle singole unità che compongono il bacino, piuttosto che una risorsa da co-gestire, anche attraverso l’approccio del commercio dell’acqua virtuale.
Bacino del Nilo
Bacino del Nilo, 1929
Fonte: Foreign Affairs
Bacino del Nilo, 1960-250
Fonte: Africa Confidential
Il vasto bacino idrico del Nilo rappresenta un caso studio classico per la geopolitica dell’acqua, poiché intreccia questioni storiche, finanche legate al colonialismo, a problemi più contemporanei quali la dimensione della sicurezza e dello sviluppo sostenibile a fronte di una crescente pressione demografica in aree in via di sviluppo. Di per sé, gli aspetti critici possono essere facilmente individuati osservando come ogni unità statuale che si affaccia sul suo corso possa pesantemente influenzare tale risorsa qual’ora adottasse scelte politiche unilaterali, ispirate solo alla realizzazione dei suoi bisogni specifici. Naturalmente rispetto al 1929 e al 1959 la situazione dei paesi a monte è decisamente mutata. Burundi, Kenya, Ruanda, Tanzania sono paesi decisamente bisognosi di acqua e possono facilmente accedere alle fonti dei laghi equatoriali, tra cui appunto il lago Vittoria. Dal’altra parte, paesi come Etiopia e Tanzania hanno ribadito la loro intenzione di realizzare opere di sbarramento al fine della produzione idroelettrica, ma anche sicuramente con lo scopo di sostenere il settore agricolo. Per un paese come l’Egitto tali iniziative destano naturalmente preoccupazione. È evidente che l’unica soluzione efficiente potrà essere ritrovata nello schema multilaterale facendo in modo che il percorso inaugurato nel 1999 con NBI trovi reale completamento.
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Institute for Water and Watersheds
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