Virtual Water Trade

Il concetto di virtual water trade (il commercio di acqua virtuale) rappresenta una diretta applicazione dell'idea di virtual water (acqua virtuale) e parte dall'assunto che ogni bene commerciato a livello internazionale possa essere classificato in base al suo contenuto di acqua virtuale, soprattutto per quanto riguarda i prodotti alimentari. L'idea del prof. Tony Allan di analizzare il flusso di acqua virtuale nei commerci internazionali permetterebbe di individuare questi flussi, in particolare per gli stati che sono indotti a utilizzare l'importazione per sopperire alle proprie mancanze di risorse idriche oppure a evidenziare l'incongruità dell'export di prodotti ad alto tasso di consumo idrico da parte di stati fortemente deficitari di acqua. Il virtual water trade diventerebbe uno strumento molto flessibile e adattabile per immaginare compensazioni alla variazione del bisogno d'acqua, senza scatenare tensioni politiche che di solito accompagnano la variazione di quote d'acqua fra stati che condividono un medesimo bacino idrografico. Nello stesso tempo, tuttavia, sono state avanzate molte critiche a questo concetto. Secondo i suoi detrattori, il virtual water trade non avrebbe di fatto applicazioni pratiche, dato che - nel commercio internazionale - l'acqua virtuale contenuta nei prodotti sarebbe molto poco "virtuale", rimandendo poco più di una metafora.

Il concetto di Virtual Water Trade

Una diretta applicazione dell’idea di virtual water, nel campo dell’economia politica, è l’idea di virtual water trade (il commercio di acqua virtuale). Ogni bene commerciato a livello internazionale può essere classificato in base al suo contenuto di acqua virtuale, soprattutto per quanto riguarda i prodotti alimentari. La nuova prospettiva introdotta dalla teoria della virtual water, però, permette di individuare flussi particolari di beni, indirizzati verso stati che sono indotti a utilizzare l’importazione per sopperire alle proprie mancanze di risorse idriche e continuare a garantire un certo livello di stabilità sociale. Allo stesso modo si possono identificare paesi che destinano una parte non indifferente della produzione agricola domestica all’esportazione, in particolare dei prodotti cosiddetti water intensive, ossia beni la cui produzione richiede grandi quantità di acqua, e che quindi si rivelano particolarmente adatti per il trasferimento di acqua virtuale. Esempi di questo tipo di beni sono la carne bovina (5.000 lt/kg) e il cioccolato (24.000 lt/kg). 

figura 1 - Impronta idrica negli alimenti

Un vantaggio che vi sarebbe nell’esportazione di acqua attraverso il commercio deriverebbe dal fatto che l’acqua virtuale contenuta nei cibi può essere utilizzata in modo molto flessibile per ovviare alle variazione di bisogno d’acqua dei paesi che hanno deficit idrici o alimentari. Inoltre, l’acqua virtuale risulta pressoché “invisibile”, esulando quindi dai dibattiti politici, spesso molto ideologizzati, che portano alla ricerca di una soluzione condivisa ai problemi idrici globali o da soluzioni politicamente più difficili da accettare, come la variazione di quote d'acqua fra stati che condividono uno stesso bacino idrografico.

Si stima che tra il 1995 e il 1999 la quantità di acqua esportata sotto forma di prodotti agricoli ammonti a 695 Gm3 all’anno, il 13% della quantità totale di acqua utilizzata per l’agricoltura (che nel 2000 è stata di 5.400 Gm, comprendendo nel calcolo anche l’acqua piovana utilizzata per la coltivazione). Questo implica grandi flussi di virtual water che si spostano dai grandi esportatori (come Stati Uniti, America Latina e Oceania) verso aree con più richiesta di acqua, ma non necessariamente zone sottoposte a stress idrico. Infatti sia l’America Latina che il Nord America esportano acqua virtuale verso l’Europa occidentale, probabilmente per far fronte alle necessità di paesi ad alta impronta idrica come il Regno Unito.

Mentre più grandi esportatori di acqua virtuale sono gli Stati, il più grande importatore di virtual water si rivela essere l’Asia centrale e meridionale, che tra il 1995 e il 1999 ha importato quasi 1.000 Gm3 di acqua virtuale da diverse regioni, come il sud-est asiatico, l’Oceania, l’America centrale e settentrionale. 

figura 2 - Virtual Water trade

Il commercio di virtual water non avviene esclusivamente a livello internazionale, ma anche all’interno delle stesse regioni: l’Europa occidentale è l’area con i più grandi (e stabili) flussi interni di acqua virtuale, al contrario invece dell’Asia centrale e meridionale, i cui flussi commerciali sono estremamente variabili di anno in anno. Essendo questa l’area più popolata al mondo, i singoli paesi dipendono sia dagli scambi regionali, sia da quelli internazionali. Non a caso questa è l’area che maggiormente importa virtual water al mondo.

Localizzando ulteriormente l’analisi, si può riscontrare che il commercio di acqua virtuale può essere realizzato anche a livello locale, nell’ambito di un unico bacino idrico: in aree che dipendono fortemente da un’agricoltura di sussistenze, le carestie che potrebbero verificarsi a causa di siccità o inondazioni possono essere evitate mediante l’importazione di cibo. In queste aree è evidente la necessità di stimolare investimenti a favore del  settore agricolo per fare in modo che questo possa evolversi dall’agricoltura di sussistenza. A tal fine è necessario rivedere le regolamentazioni riguardanti l’utilizzo di acqua a livello locale, così che le spese possano essere gestite in modo tale da permettere un più agevole accesso al mercato internazionale del cibo. In ultima istanza, questo tipo di processo potrebbe portare a un’evoluzione delle singole situazioni locali verso una semplificazione degli scambi commerciali, una più vasta diversificazione nelle colture e una più completa consapevolezza delle conseguenze che le diete alimentari hanno a livello economico ed ecologico.

Nonostante i vantaggi che il commercio di virtual water implica, non mancano i costi relativi all’importazione di cibo per far fronte alla scarsità idrica: in primo luogo il legame di dipendenza che si crea tra la nazione importatrice e quella esportatrice. Questo ha risvolti sociali, economici e politici in quanto la potenza esportatrice potrebbe decidere di intervenire all’interno del paese verso cui indirizza i propri prodotti. Inoltre,  l’importazione di cibo, se gestita male all’interno dei vari livelli dell’amministrazione pubblica, può danneggiare l’agricoltura locale, incapace di adattarsi al nuovo sistema economico.

Le critiche al concetto di Virtual Water Trade

Questi ed altri punti problematici del commercio di acqua virtuale sono al centro del dibattito che si è instaurato tra i sostenitori del concetto di virtual water (primo fra tutti il suo ideatore, Tony Allan), e i suoi oppositori, tra cui il più noto è forse lo studioso Stephen Merrett, economista e membro dell’International Water Resources Association (IWRA).

Il nucleo della sua critica  riguarda l’uso fatto da Allan del termine da lui stesso coniato. In uno scritto pubblicato nel Dicembre del 2003 per l’IWRA, infatti, Merrett accusa gli ideatori del termine di aver fatto uso di una metafora scorretta allo scopo di attirare l’attenzione della comunità scientifica internazionale. La definizione che Allan dà di virtual water, infatti, non giustificherebbe l’utilizzo di un aggettivo come “virtuale” dato che non vi è nulla di virtuale. L’acqua è reale, dato che è quella utilizzata in tutte le fasi del processo di produzione. L’opinione di Merrett è che il termine utilizzato da Allan non sia altro che un nuovo nome per un concetto già esistente da tempo, ovvero “il fabbisogno d’acqua dei prodotti agricoli”.

Un’opinione simile è sostenuta da un resoconto dell’International Water Management Institute (IWMI), dove si dichiara che il commercio internazionale di water intensive products in realtà non abbia nulla a che fare con il tentativo di gestire diversamente le risorse idriche, se non per pochi paesi sottoposti a forte stress idrico. Secondo lo stesso documento, inoltre, le nazioni importano coscientemente virtual water solo in quanto hanno pochi altri mezzi per evitare la carenza di cibo: quando messe di fronte alla scelta se continuare con l’importazione o ottimizzare i propri sistemi, sceglieranno inevitabilmente la seconda possibilità, migliorando così il rapporto crop per drop.

Una seconda critica mossa alla tesi di Tony Allan si basa sull’applicazione della metafora alla teoria del commercio internazionale: dire che una regione possa arrivare alla stabilità dal punto di vista idrico mediante le importazioni di virtual water non può che essere una metafora, ma è certamente impossibile basare una teoria scientifica su un concetto che non può essere altro se non metaforico.

Infine la critica di Merrett tocca l’analisi che Allan fa dei settori agricoli dei paesi importatori ed esportatori di acqua virtuale: a detta dello studioso l’analisi è incompleta, in quanto trascura elementi importanti tra cui le caratteristiche del terreno, le questioni di proprietà e il costo del lavoro. Questo apre una serie di questioni che, secondo Merrett, vengono nascoste dalla “cortina di fumo” del termine virtual water: parlando di importazioni di cibo, invece che di virtual water, vengono infatti alla luce le problematiche esposte nel paragrafo precedente, come ad esempio la dipendenza del paese importatore da quello esportatore e le conseguenze politiche che questa dipendenza comporta.

 

 

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Virtual Water trade

I flussi di acqua virtuale nel commercio internazionale

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Impronta idrica negli alimenti

Impronta idrica negli alimenti

Impronta idrica negli alimenti

Indipendentemente dalla sua reale applicazione quale strumento flessibile per il bilanciamento o la riduzione degli squilibri idrici fra le varie zone del pianeta profittando del legami fra stati prodotti dal commercio internazionale, il concetto di virtual water trade è indubbiamente utile per aumentare la consapevolezza del consumo d'acqua di certi prodotti, in particolare agricoli, e della necessità di adottare forme maggiormente sostenibili di produzione, commercializzazione e consumo di beni, così come per evidenziare gli squilibri del sistema economico-commerciale mondiale e certe sue illogicità dal punto di vista della preservazione delle risorse idriche del pianeta.

A. Allan, Virtual Water - the Water, Food, and Trade Nexus. Useful Concept or Misleading Metaphor?, IWRA, Water International, Volume 28, Number 1, March 2003

Acqua virtuale

Marta Antonelli - Francesca Greco, L'acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo, WWf Edizioni ambiente, 2013