Il sistema transfrontaliero dell'Himalaya

La catena dell'Himalaya costituisce una formidabile barriera fisico-geografica che divide le macro regioni dell'Asia centrale e del subcontinente indiano. Le "vette del mondo" separano diversi paesi e i loro sistemi geopolitici e geoeconomici e la storia contemporanea ci testimonia che queste divisioni non sono solo “fisiche” ma anche politiche, spesso foriere di conflitti e guerre. In particolar modo le due principali potenze regionali, Repubblica Popolare Cinese e India, ed altri Stati si contendono diverse risorse legate al sistema himalayano, a partire da quelle idriche. L'utilizzo delle acque provenienti dall'Himalaya è al centro di numerosi progetti per il potenziamento dei sistemi di raccolta e gestione dell'acqua, sia sotto il profilo agricolo che dal punto di vista della produzione di energia. Tuttavia, come spesso accade, il rischio è quello di una gestione a "somma zero", in cui i benefici ottenuti da una parte, si ripercuotono negativamente sull'altra. Senza considerare, inoltre, che i paesi più piccoli e meno "potenti", necessitano di un adeguato e costante accesso alle riserve Himalayane. L'analisi storica e archeologica dimostrano che, se si considera questo enorme sistema da una prospettiva diversa, come un bacino comune, l'Himalaya risulta fondamentale nel garantire opportunità di scambio e gestione delle risorse economiche condivise da popoli culturalmente diversi ma legati dalla necessità di tutelare e preservare questo enorme patrimonio.

L’Himalaya è la più elevata catena montuosa al mondo. Situata in Asia centromeridionale, divide la pianura Indogangetica dal Plateau tibetano. La sua forma è quella di un vasto arco concavo, rivolto verso Nord, lungo circa 2.400 km e largo mediamente 200 km. La regione himalayana, qui considerata in senso stretto, comprende la zona del Subhimalaya (o anche Himalaya esterno), il Basso Himalaya e il Grande Himalaya, con una media delle vette di 6.000 metri e dove si trovano le cime più elevate, quali l’Everest il Kanchenjunga, il Nanga Parbat e l’Annapurna, solo per citare le più conosciute. Quest’area, si estende attraverso cinque Stati: India, Nepal, Bhutan, Repubblica Popolare Cinese (nella regione autonoma del Tibet) e Pakistan. India, Nepal e Bhutan sono gli Stati che comprendono la maggior parte del territorio himalayano. Tuttavia, se si considera il sistema himalayano in senso più ampio, esso si estende dall’Asia centrale all’Indocina. Da questo punto di vista, i paesi coinvolti nelle dinamiche del sistema himalayano sono 17. Oltre ai paesi già citati, vanno annoverati: le cinque Repubbliche centroasiatiche (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan), l’Afghanistan, il Bangladesh, la Cambogia, il Laos, il Myanmar, la Tailandia e il Vietnam.

Nonostante la vicinanza all’area tropicale e diversamente da altre catene montuose nel mondo (ad. esempio quelle della Nuova Guinea, della Colombia o del Rwenzori, nella regione africana dei Grandi Laghi), le regioni montuose più alte dell’Himalaya sono ricoperte di neve e ghiaccio per tutto l’anno, anche a quote attorno ai 2.000-3.000 metri. Ciò contribuisce a favorire la formazione dei ghiacciai: la catena dell’Himalaya costituisce infatti il terzo maggiore deposito di ghiaccio e neve al mondo dopo l’Antartide e l’Artico, con circa 15.000 ghiacciai che contengono 12 milioni di metri cubi di acqua dolce.

Da questi ghiacciai nascono diversi grandi fiumi perenni asiatici, in gran parte facenti parte di tre macro sistemi fluviali: il bacino dell’Indo, quello del Gange e quello del Brahmaputra (“il figlio di Brahma”, nella lingua sanscrita), tutti traenti origine dalla regione del Tibet, che dal 1950 è controllata dalla Repubblica Popolare Cinese nella forma amministrativa di provincia autonoma. Generalmente, i bacini del Gange e del Brahmaputra vengono considerati congiuntamente. Indo e Brahmaputra sono i due più ampi bacini idrografici himalayani, con un’ampiezza ciascuno di 260.000 km2. In totale sono 19 i grandi fiumi collegati con il sistema himalayano. Di questi, 5 appartengono al sistema dell’Indo (Jhelum, Chenab, Ravi, Beas e Sutlej), con un bacino idrografico di 132.000 km2, mentre 9 appartengono al Sistema del Gange (Gange, Yamuna, Ramganga, Kali, Karnali, Rapti, Gandak, Baghmati e Kosi), per un totale di 218.000 km2 e 3 appartengono al sistema del Brahmaputra (Tista, Raidak e Manas), con 184.000 km2 di bacino idrografico.

figura 1 - Fiumi dell'Himalaya

Dal punto di vista geologico, l’Indo, il Brahmaputra, il Sutlej e alcune sorgenti del Gange sono probabilmente più vecchie delle montagne da essi attraversate. Si pensa che la formazione della catena himalayana sia avvenuta molto lentamente e che i fiumi sopracitati abbiano potuto continuare il loro flusso attraverso i propri canali, aumentando di rapidità con l’emergere dell’Himalaya. Ciò ha consentito la formazione di ampie e profonde gole e vallate che spaziano dai 1.500 ai 5.000 metri di profondità, ai 10-50 km di larghezza. Questi fattori, spiegherebbero la peculiarità dei maggiori fiumi himalayani, le cui acque bagnano non solo i pendii meridionali ma anche quelli settentrionali, con la linea spartiacque che sta più a Nord della linea di cresta.

Nei bacini dell’Indo, del Gange e del Brahmaputra, vivono attualmente circa 800 milioni di persone, dipendenti in misura differente dalle acque provenienti dalle sorgenti e dai ghiacciai himalayani. Da un punto di vista geopolitico, le due estremità occidentali e orientali della catena Himalayana, nella sua accezione più ristretta, presentano situazioni di tensione e conflitto di storica matrice e che, in epoca contemporanea, hanno caratterizzato i rapporti bilaterali e regionali riguardanti principalmente Repubblica Popolare Cinese, India e Pakistan ma anche altri paesi, come il Bangladesh, fortemente dipendenti dalle risorse idriche che hanno origine nell’Himalaya.

A sud delle linee di cresta dell’Himalaya si trova il territorio del Jammu, amministrato dal Pakistan, mentre l'India amministra il territorio del Kashmir. Queste regioni sono rivendicate da entrambi i paesi fin dal 1947, anno in cui entrambi ottennero l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Nel corso degli anni i governi di India e Pakistan sono stati in costante conflitto, sfociato per ben tre volte in scontri armati aperti, l’ultimo dei quali nel 1999 (gli altri due si sono verificati nel 1947 e nel 1965). Sul versante settentrionale, si trova il Ladakh (la “regione degli alti passi”), posizionata tra i monti Karakorum e il Grande Himalaya. In quest’area l'India rivendica un territorio facente parte della regione autonoma cinese dello Xinjang: l’Aksai Chin. All'estremità orientale dell'Himalaya si trova invece la regione dell'Arunacal Pradesh, attualmente amministrata dall'India ma rivendicata dal governo di Pechino. L’Arunacal Pradesh si trova nel cosiddetto Tibet meridionale. Con l’annessione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese, nel 1950, le tensioni tra Pechino e Nuova Dehli sono costantemente aumentate, soprattutto in relazione alle contese sui confini sopracitati. Nel 1962, Aksai Chin e Arunacal Pradesh sono state la causa di un breve conflitto armato tra India e Repubblica Popolare Cinese, che vide la vittoria dei Cinesi. Nonostante ciò, le truppe cinesi si ritirarono a nord della linea “McMahon” (utilizzata, fin dal 1914, per delimitare il confine tra Tibet e Cina e quello tra quest'ultima e i territori indiani allora sotto dominio britannico. La linea “McMahon” non è mai stata ufficialmente riconosciuta dalla Repubblica Popolare Cinese). La conclusione del conflitto vide la cessione effettiva ma non formale, delle regioni meridionali del Tibet all’India. Nel 1993, i governi cinese e indiano si sono accordati per il mantenimento dello status quo, stabilendo che la cosiddetta “Line of Actual Control”, ossia il lungo confine di oltre 2.500 km che divide i due paesi, rimanga la frontiera ufficiale fino a quando i governi dei due paesi non si accordino definitivamente. Nel corso degli ultimi anni si sono alternati momenti di tensione a tentativi di soluzione diplomatica (dal 2003 al 2014 si sono tenuti 17 cicli di negoziato sui confini).

Principalmente a causa dei cambiamenti climatici, gran parte dei ghiacciai himalayani si sta progressivamente ritirando, con l’eccezione di alcuni ghiacciai del Karakorum. Questo aspetto, unito ad altri fattori, sta contribuendo ad alimentare le previsioni circa una diminuzione della disponibilità di acqua dei bacini himalayani, in particolar modo di quello del Brahmaputra, per il quale alcune stime arrivano a prevedere una riduzione di quasi il 20% della portata d’acqua entro il 2050.
Proprio su quest’ultimo bacino e la sua gestione si focalizzano le tensioni tra India e Repubblica Popolare Cinese. Al fine di aumentare la disponibilità di acqua necessaria allo sviluppo agricolo, urbano e industriale del paese ma soprattutto ai fini energetici, il governo di Pechino ha da tempo manifestato la sua intenzione di sviluppare progetti per la gestione delle acque del fiume Brahmaputra, che nel suo tratto cinese prende il nome di Tsangpo Yarlung. Questi progetti prevedono la deviazione di parte del corso del fiume e la costruzione di un sistema di dighe, principalmente allo scopo di produrre energia idroelettrica. Il progetto più rilevante è quello che prende il nome in inglese di Grand Western Water Diversion Plan, che ha come obiettivo quello di deviare le acque a monte di sei fiumi che attraversano la Repubblica Popolare Cinese sudoccidentale, tra cui il fiume Brahmaputra. Il governo indiano si oppone a tali progetti e ha costantemente fatto pressione sulle autorità cinesi per intavolare delle trattative al fine di far desistere il governo di Pechino o, quanto meno, limitare le dimensioni dell’intervento cinese sul corso del Brahmaputra/Tsangpo Yarlung, che potrebbe incidere in maniera negativa sulla portata d’acqua del fiume in territorio indiano.
Secondo diversi analisti, tale questione rischia di sfociare, in futuro, in un vera e propria “guerra per l’acqua”, di difficile definizione e soluzione.
Non mancano tuttavia voci discordanti, che puntano a minimizzare la questione e a sottolineare che la volontà di Pechino sarebbe quella di trovare una soluzione condivisa, negoziata e, soprattutto, pacifica ai problemi idrici ed energetici di cui soffre la Repubblica Popolare Cinese. In particolare, il governo cinese potrebbe riconsiderare in maniera radicale il suo progetto del Grand Western Water Diversion Plan nella sezione che riguarda il fiume Brahmaputra e quindi limitare i rischi di tensione e conflitto con Dehli. Ciò, almeno, è quello che si evince soprattutto tenendo in considerazione che l’attuale Presidente cinese Xi Jinping ha sviluppato una dottrina di politica estera principalmente basata sulla “amicizia, sicurezza e comune prosperità” con i paesi vicini.

Anche il governo indiano è accusato dai suoi vicini, Pakistan e Bangladesh, di sviluppare progetti di gestione delle acque dei fiumi himalayani, l’Indo e il Brahmaputra, con un impatto sensibile sui paesi più a valle. In India abita la più numerosa popolazione al mondo senza accesso all’elettricità (circa 320 milioni di persone, il 25% del totale). Allo stesso tempo, a causa dell’eccessivo utilizzo di carbone ed idrocarburi per la produzione di energia, l’India è il secondo paese al mondo, dietro alla Repubblica Popolare Cinese, per tasso di crescita delle emissioni di CO2 e ospita metà delle 20 città più inquinate al mondo. Per aumentare la disponibilità di energia e ridurre le emissioni nell’atmosfera di particelle inquinanti il governo indiano si è impegnato in un vasto programma di costruzione di dighe (circa 290 in tutto il paese), puntando a raddoppiare la capacità di generazione idroelettrica entro il 2030. Pakistan e Bangladesh soffrono di significativi problemi in termini di scarsità d’acqua e temono che i progetti indiani, se non adeguatamente sviluppati in termini di impatto ambientale e sostenibilità futura, possono mettere seriamente in crisi i propri bacini idrografici. Il governo del Bangladesh, in particolare giudica con preoccupazione e allarme sia tali progetti che quello sviluppato dal governo cinese. Questo paese, indipendente dal 1972, sebbene non ospiti all’interno del suo territorio la catena montuosa dell’Himalaya, dipende largamente dai sistemi fluviali che da essa traggono origine, ed in particolare dal fiume Brahmaputra, che dopo aver attraversato gli stati indiani dell'Arunachal Pradesh e dell'Assam, entra in Bangladesh per confluire nel fiume Gange, in corrispondenza del suo delta e quindi sfociare nel golfo del Bengala. Il Brahmaputra fornisce circa il 75% delle acque fluviali del Bangladesh, ed è una risorsa fondamentale per la sussistenza umana e gli equilibri ecologici del paese.

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Fiumi dell'Himalaya

La catena dell'Himalaya ed i suoi fiumi principali

Fiumi dell'Himalaya

Enciclopedia Treccani, “Himalaya

Encyclopedia Britannica, “Himalayas

Pigoli A., “Il lato oscuro della crescita economica dei paesi emergenti”, Quadrante Futuro, 21 ottobre 2014

World Bank Data Base: http://data.worldbank.org

Wirsing R. G., Jasparro C., Stoll D.C., Source of Transboundary River Disputes. International Conflict Over Water Resources in Himalayan Asia, Palgrave Macmillan, New York,2012.

World Glacier Inventory, National Show & Ice Data Center

 

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